Veleno: Una storia vera – Pablo Trincia

Veleno: Una storia vera – Pablo Trincia

Veleno: Una storia vera - Pablo Trincia

Oggi su Cuori d’Inchiostro parliamo di una storia difficile. In Veleno: Una storia vera, Pablo Trincia scrive dell’inchiesta conosciuta con il nome di “Diavoli della Bassa modenese”. Insieme ad Alessia Rafanelli, collaboratrice e giornalista, affronta una vicenda giudiziaria immergendosi in un vero e proprio incubo a occhi aperti, per andare a fondo e scoprire la verità.

Alcuni numeri

Cinque processi totali, che durano dal 1998 al 2014, più di 20 imputati. 16 bambini tolti dalle famiglie, con età compresa da pochi mesi a 12 anni, che non hanno mai più fatto ritorno e trasferiti in altri paesi presso altre famiglie affidatarie. 15 km separano i due paesi, Mirandola e Massa Finalese, focolai di un’isteria di massa che si è accesa a fine anni ’90, come spiega Pablo Trincia nel libro.

La vicenda raccontata in “Veleno: Una storia vera” di Pablo Trincia

Pablo Trincia insegue le tracce di una presunta storia vera: una setta nella Bassa modenese (zona così denominata, che si trova a nord della provincia di Modena) avrebbe organizzato rituali satanici all’interno di un cimitero coinvolgendo dei bambini, che oltre a partecipare a questi riti, sarebbero stati abusati, molestati e usati per compiere omicidi su altri bambini.

Viene la pelle d’oca solo a pensare a una possibilità simile. Cosa c’è di vero in queste accuse? Poco, poiché la storia non è quella che sembra.

La storia di Dario, il bambino zero di Veleno: Una storia vera di Pablo Trincia

La famiglia di Dario

La storia comincia da Dario, 7 anni, denominato poi il “bambino zero”. Pablo Trincia ripercorre la sua vita. Una famiglia disastrata, due genitori poco attenti, un fratello, Igor, e una sorella, Barbara. Il padre, Romano, conosciuto come lo scansafatiche del paese, spende tutto ciò che guadagna, spesso giocandoselo a carte. Trincia lo descrive con un “uomo irascibile e manesco”. La madre, Adriana, cerca di barcamenarsi nella situazione di povertà (non solo economica) in cui la famiglia riversa, con pochi successi.

Il ’93: lo sfratto della famiglia, la vita dai vicini, fino al Cenacolo Francescano

Un giorno di settembre del ’93 la famiglia viene sfrattata e questo forse è il vero inizio della fine. I genitori ed il fratello lasciano così Dario, tre anni all’epoca, a casa dei vicini, che li avevano già in precedenza aiutati molto, con la speranza di dargli una quotidianità migliore. Nel frattempo la famiglia lo va a trovare tutti i giorni e trova una sistemazione temporanea presso un appartamento della Chiesa, grazie a Don Giorgio Govoni.

I servizi sociali di Mirandola, però, si attivano presto, inizialmente proponendo alla vicina di casa di diventare ufficialmente affidataria del bambino. Lei rifiuta.

Il 26 Dicembre del ’93 i servizi sociali si presentano alla porta dei vicini con un decreto del Tribunale di Bologna: Dario deve andare quel giorno stesso presso il Cenacolo Francescano, struttura di Reggio Emilia gestita dalle suore. Il progetto è chiaro: i servizi sociali vogliono trovare a Dario una famiglia che si occupi di lui.

1995: una famiglia affidataria per Dario, una sistemazione definitiva per la sua famiglia d’origine

Un anno dopo entra in scena la dott.ssa Valeria Donati, allora una giovane psicologa tirocinante. Tra i primi incarichi ha quello di trovare una famiglia affidataria per Dario, cosa che avviene nel 1995. Dario si trasferisce così per la quarta volta, in provincia di Mantova.

Nel frattempo la sua famiglia d’origine trova una sistemazione definitiva vicino a Massa Finalese. Questo permette a Dario di frequentare la sua famiglia d’origine una o due volte al mese.

Dario alle elementari, tra maestre, famiglia affidataria e psicologa

Il bambino comincia le scuole elementari: ha problemi motori, difficoltà di concentrazione, lo sguardo sempre vuoto. Una mattina di gennaio del 1997 la maestra parla con la madre affidataria, riportandole le parole di Dario riguardo un episodio avvenuto durante uno dei suoi rientri presso la famiglia d’orgine: “Igor aveva fatto degli scherzi sotto le coperte alla sorella Barbara che lo avevano spaventato”.

La madre affidataria, molto spaventata, contatta la psicologa. Da qui cominciano colloqui regolari (una o due volte alla settimana) per tre mesi. Le visite presso la famiglia naturale vengono invece sospese per due mesi.

Dario peggiora, finchè una sera d’aprile dello stesso anno comincia a raccontare alla madre affidataria un altro dettaglio: “Igor lo aveva fatto coricare a pancia in giù sul divano del soggiorno e gli aveva fatto male ai fianchi”. Possiamo immaginare l’angoscia della madre affidataria nel sentire una cosa simile uscire dalle labbra del figlio. Pochi giorni dopo una nuova conferma da parte del bambino: disse infatti che Igor “gli aveva mostrato i genitali”. Il giorno dopo, la mamma affidataria si reca direttamente dalla dott.ssa Donati per raccontare di come Dario sia stato costretto a rapporti orali. Poco tempo dopo Dario aggiunge che anche il padre e la madre avevano abusato di lui.

Come si passa dal “bambino zero” a cinque processi?

I colloqui con Dario si intensificano e la dott.ssa Valeria Donati e i servizi sociali, a seguito delle nuove rivelazioni fatte da Dario, si attivano per contattare la Procura di Modena. La Procura invia un PM per ascoltare il bambino, che ripete tutto. Il 17 maggio del ’97 Romano, Adriana e Igor vengono arrestati.

In seguito all’arresto della sua famiglia d’origine Dario, durante i colloqui e a casa, inizia a rivelare altri episodi, che non riguardano solo la sua famiglia. Fa altri nomi: Rosa, “Ales” identificato poi come Alfredo, Francesca, madre di Marta, portata al Cenacolo Francescano (Francesca si suicida il 28 Settembre), Federico, padre di Elisa e Nick, che vengono separati e affidati a due famiglie affidatarie diverse. Altre accuse su messe nere, giri di soldi, altri bambini separati dalle famiglie. La dott.ssa Cristina Maggioni fa la sua comparsa per le perizie ginecologiche e lo scenario diventa ancora più nero. Non solo le ipotesi di abusi sessuali vengono confermate dalle perizie mediche, ma perizie effettuate su bimbi che non avevano ancora parlato di abusi subiti rivelano che, di fatto, tali abusi li hanno subiti eccome.

Infine viene coinvolto anche Don Giorgio Govoni: è con lui si apre il capitolo delle accuse di riti satanici e inizia il secondo processo. Dopo 3 mesi dalle parole di Dario la rete di pedofili è già fitta ed è solo l’inizio.

C’è una verità?

E’ difficile muoversi su un terreno così fragile: è come camminare sulle uova. Bisogna però considerare alcuni fatti veri.

Dario viene riconosciuto non abusato da un CTU (consulente tecnico d’ufficio). La maggior parte degli imputati, alla fine dei cinque processi, viene assolta.

Non si trovano prove a conferma di rituali satanici e messe nere: dovrebbero essere avvenuti al cimitero in un paese di poco più di 4000 abitanti, di pomeriggio, ripetutamente. Senza che nessuno si fosse accorto.

Non è stato trovato alcun reperto: nessuna foto, filmini, attrezzi utilizzati. Non ci sono cadaveri: gli omicidi descritti dai bambini interrogati sono molteplici, eppure la macchina giudiziaria, pur avallando le parole di ogni bambino, non ha accusato nessun imputato di omicidio.

Lo stesso vale per i pagamenti, nei conti correnti degli accusati non ci sono pagamenti non adeguati.

Le consulenze medico-ginecologiche effettuate dalla dott.ssa Maggioni vengono smentite da altri protagonisti coinvolti durante i processi.

I colloqui psicologici vengono ritenuti viziati perché condotti alla stregua di una spasmodica ricerca di abusi, dopo che questi erano anche stati validati dalla perizia medica. I colloqui effettuati, infatti, sono stati condotti in modo sbagliato, inducendo i bambini su una risposta piuttosto che un’altra. Inoltre, i colloqui sono stati videoregistrati solo successivamente, quando ormai i bambini erano già stati considerati plagiati: in una registrazione un bambino dice perfino “va bene quello che ho detto?”

Veleno: Una storia vera: Pablo Trincia incontra Dario

Dario ha 26 anni e la confusione nella testa sulla vicenda che lo ha riguardato, come la maggior parte dei bambini coinvolti allora. Pablo Trincia e Alessia Rafanelli,rimangono sconvolti dalle parole di Dario: “io sinceramente non sono piú sicuro di quello che è successo o non è successo”. Dario conserva ricordi confusi della vicenda, non ha un buon ricordo della psicologa che lo ha seguito, ma soprattutto non è al corrente di nient’altro che non fosse la sua vicenda personale. Non sa delle persone coinvolte, dei processi, di com’è andata. Non è a conoscenza che non sono state trovate prove, cadaveri. Quindi, non è neppure al corrente degli esiti. Ricorda solo una cosa: l’abbandono.

Ecco forse cosa rimane di questa storia: il dolore e l’incomprensione. Non solo quelli di Dario, ma di tutti i bambini coinvolti, che Pablo Trincia ha incontrato e di cui racconta le storie e gli incontri avuti nel libro.

La vicenda di Bibbiano: come si collega alla vicenda di Veleno?

L’inchiesta denominata “Angeli e demoni” si ricollega alla storia descritta da Pablo Trincia in Veleno. Come? La ONLUS coinvolta per le consulenze tecniche è la stessa: si tratta del centro Hansel e Gretel di Torino.

Si parla di business illegale di affidamento di minori tolti alle famiglie d’origine. In questi affari sarebbero coinvolti molti specialisti (psicologi, medici, assistenti sociali), che traggono benefici economici “grazie” alle cure offerte ai bambini.

Ancora c’è poca chiarezza sulla vicenda in corso, eppure sembra proprio che la storia si ripeta. Le domande sono tante e ritornano: errori umani? Errori giudiziari? Oppure economia sulla pelle di bambini e famiglie? Quanta strumentalizzazione c’è da parte degli specialisti? e dei giornalisti?

Alcune considerazioni

Probabilmente, nel caso di Dario, c’erano i presupposti per sospettare un’ipotesi di maltrattamento. Forse gli esperti sono stati incauti: invece di interpretare simbolicamente ciò che veniva detto dal bambino, lo si è interpretato da subito su un piano di realtà. Questa modalità è stata usata successivamente per tutti i bambini, finché non si è più riusciti a contenere nessun racconto e l’isteria si è diffusa a macchia d’olio.

Inoltre, la psicologia giuridica è molto cambiata da fine anni ’90 quando è iniziato il processo a quando è finito, nel 2014. Gli approcci e le modalità utilizzate oggi sono molto diverse e in continuo mutamento.

In generale, è importante valutare la capacità di discernimento, dei processi cognitivi e delle funzioni di pensiero dei bambini coinvolti, che in età evolutiva sono sempre soggetti a cambiamento. Inoltre, è importante tenere presente gli studi sulla memoria (e in generale sulle funzioni esecutive) che può produrre falsi ricordi, anche in tribunale e anche per i bambini.

Per gli specialisti, invece, deve avere importanza il valore del ruolo che ricoprono. Gli psicologi che hanno in corso un percorso di supporto o psicoterapia devono limitarsi alle cure, a meno che non siano CTU iscritti all’albo (consulenti tecnici d’ufficio, chiamati in ausilio del giudice), in qual caso potranno effettuare le perizie laddove richieste. Le indagini vanno lasciate a chi si occupa delle indagini: giudici e polizia.

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