Le tre del mattino – Gianrico Carofiglio

Le tre del mattino – Gianrico Carofiglio

Le tre del mattino - Gianrico Carofiglio

Un padre, un figlio e un’inaspettata avventura per (ri)trovarsi, così si può riassumere Le tre del mattino, libro del 2017, di Gianrico Carofiglio.

L’autore: chi è Gianrico Carofiglio

Nato a Bari, classe 1961, Carofiglio studia al classico e poi si laurea in giurisprudenza. A lungo persegue la carriera di pubblico ministero, specializzato in indagini sulla criminalità organizzata; dal 2008 al 2013 è stato anche senatore della repubblica nelle file del PD.

In realtà, sin da piccolo Gianrico Carofiglio è un appassionato lettore. Il libro che gli fa pensare che da grande avrebbe potuto scrivere è Zanna Bianca di Jack London. Terminata la lettura, infatti, a sua volta scrive un racconto con un lupo come protagonista.

Oggi, dunque, possiamo riferirci a Carofiglio come ex pubblico ministero, anche se dobbiamo aspettare i primi anni del 2000 per leggere il suo primo romanzo. Testimone inconsapevole è il suo titolo d’esordio (2002), in cui crea il personaggio dell’avvocato Guerrieri, che ritroveremo poi in altri suoi cinque romanzi successivi.

Carofiglio si ritrova un po’ a ribaltare le carte in tavola, da lettore a pubblico ministero e poi da pubblico ministero a scrittore. Se inizialmente la lettura e la scrittura erano, per lui, una passione e la giurisprudenza il suo lavoro, Carofiglio inverte le cose, facendo sì che il suo lavoro serva alla sua passione e quest’ultima diventi il suo nuovo lavoro, concretizzando il sogno di molti.

Sebbene sia principalmente un giallista, Gianrico Carofiglio ha anche scritto molti saggi. Tra essi citiamo l’ultimo, in quanto scritto con sua figlia Giorgia, L’ora del caffè, che tratta di tematiche generazionali. Tuttavia, noi di Cuori d’inchiostro abbiamo pensato di presentarvi un romanzo di Gianrico Carofiglio, Le tre del mattino: parliamone insieme!

L’inatteso come catapulta per il legame

All’inizio del libro, il protagonista Antonio ci racconta di come da piccolo avesse scoperto di convivere con una forma di epilessia. Ora che è quasi maggiorenne, deve fare una visita di controllo in una pregiata struttura francese di Marsiglia, per capire se dovrà prendere ancora dei farmaci per la sua malattia. Il professor Gastaut propone ad Antonio la cosiddetta “prova di scatenamento”: Antonio non deve dormire per due notti di fila, senza presentare sintomi controversi. Il libro, in effetti, è ambientato negli anni ’80, quando la deontologia medica ancora permetteva queste pratiche.

Da questo evento atteso ne nasce uno inatteso. Antonio comincia la sua nuova avventura, che niente ha a che fare con la sua malattia: conoscere il padre per la prima volta nella sua vita. I due, fino a quel momento, non hanno mai avuto un vero e proprio rapporto: Antonio ha sempre visto il padre come un serioso professore di matematica, mai veramente disposto a comprendere e ascoltare il figlio.

Dall’incomprensione alla vicinanza

In questa esperienza condivisa di 48 ore, padre e figlio finalmente si raccontano e si spogliano di quella freddezza che ha sempre compromesso il loro legame. Il padre racconta ad Antonio la sua storia di vita (come ha conosciuto la madre, la loro separazione, la passione per la matematica) e il ragazzo comprende che il padre è un essere umano, proprio come lui, e che ha vissuto le stesse emozioni che sta provando ora il ragazzo in adolescenza.

Antonio tocca quindi un sentire non più di solitudine, ma che si ritaglia all’interno di una comprensione possibile e forse per la prima volta sente un’assonanza che fa accorciare le distanze. A quel punto cade quello schermo fatto di quotidiani e cordiali interazioni ma mai reale: Antonio e il padre, in questo viaggio per le strade di Marsiglia, vengono a stringere un legame fortissimo, che il protagonista si porterà gelosamente e amorevolmente dentro per tutta la vita.

Il titolo: perché “Le tre del mattino”?

Gianrico Carofiglio deriva il titolo Le tre del mattino da una citazione contenuta in un altro libro: Tenera è la notte di Francis Scott Fitzgerald. Omaggia questo grande autore, poiché questa frase lo colpisce: “Nella vera notte buia dell’anima sono sempre le tre del mattino”.

È nella notte che l’uomo si scopre nella sua verità più profonda, rimane solo con se stesso e i suoi pensieri: la frase di Fitzgerald evidenzia un fatto vero, perché la notte dell’anima, cioè la profondità del nostro io, non può che venir fuori nel momento in cui siamo più liberi. Le tre del mattino rappresentano dunque il pieno di questo momento notturno, di massima libertà e ritrovamento.

Nel romanzo di Carofiglio, la notte è assoluta protagonista della storia: Antonio e il padre si trovano spesso a girovagare in una Marsiglia notturna, che non trasmette sicurezza ma piuttosto inquietudine. E’ però in questo squarcio di paesaggio e in questo intervallo temporale che padre e figlio costituiscono il loro legame.

Questo ci ha ricordato un’altra opera di cui vi abbiamo già parlato: Le nostre anime di notte di Kent Haruf (qui trovate l’articolo). Non è un caso che anche in questo caso la notte sia citata nel titolo e sia un’assoluta protagonista e, sebbene di altra natura, fautrice della costruzione di un legame.

La matematica come accompagnamento al viaggio

Essendo il padre di Antonio un professore universitario laureato in matematica, sono moltissimi i riferimenti alla disciplina nel romanzo: dall’enunciazione dell’ultimo teorema di Fermat (fun fact: il romanzo è ambientato negli anni ’80, quando tale teorema era ancora da dimostrare. Fu infatti solo negli anni ’90 che uno studioso americano, Andrew Wiles, riuscì a trovare una soluzione a un problema che Fermat pose a metà del 1600) fino alla formula di Gauss sulla somma dei numeri da 1 a 100.

Nel corso del romanzo, la matematica così razionale sembra essere un vero e proprio divertissement, che accompagna il viaggio emotivo dei due personaggi, creando una contrapposizione che tiene in tensione tutta la storia.

Simbolicamente, il romanzo si chiude con una citazione di un grande matematico del ‘900, John Von Neumann: «Se la gente crede che la matematica non sia semplice, è perché non si rende conto di quanto complicata sia la vita».

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