Incontro con Marco Dominici

Incontro con Marco Dominici

Incontro con Marco Dominici

A distanza di quasi un anno dal nostro ultimo incontro con l’autore, Cuori d’inchiostro torna ad “ospitare” una chiacchierata con uno scrittore. Dopo Mark Ellero e Simone Censi, torniamo nelle Marche, grazie all’incontro con Marco Dominici, autore che abbiamo conosciuto con Il mantello di Spinoza.

Caro Marco, parlaci di te.

Sono nato ad Ancona, dove ho frequentato il liceo classico Rinaldini. Dopo il diploma sono andato a Milano per studiare Lettere antiche alla Statale di Milano. Da studente, qui mi sono trovato molto bene. Mi sono laureato in storia romana, e qui ho poi iniziato a lavorare. Dopo tre anni dalla fine degli studi sono però tornato ad Ancona, perché a Milano non riuscivo ad ingranare con il lavoro. Ho così iniziato a insegnare nelle Marche, più precisamente in provincia di Ancona: Castelfidardo, Osimo, Polverigi, Fabriano, Senigallia… 

Qual è stato il percorso che ti ha portato a insegnare?

In realtà fin da prima della mia laurea insegnavo italiano agli stranieri. Avevo perfino mandato vari CV in giro per il mondo, e nel 2002 mi chiamarono a Damasco, dove ho vissuto quattro anni. Lì ho conosciuto mia moglie, siriana, e ho frequentato un Master per specializzarmi nel settore. Inoltre, tenevo un diario pubblicato, all’epoca, su un sito di quello che era l’Ulivo. Oggi quegli scritti sono pubblicati dalla Delos Digital (n.d.a.: noi di Cuori d’inchiostro li leggeremo presto!). Abbiamo poi, però, dovuto lasciare il paese, per trasferirci in Grecia. Dopo sei anni son tornato in Italia. Ora lavoro a Roma, dove mi occupo di scrittura ed editoria. Il lavoro con l’editoria è nato grazie alla scrittura di racconti.

Dove si vive meglio? A Roma o ad Ancona?

Con Ancona ho un rapporto migliore ora rispetto a quando ero ragazzo. Allora la sentivo provinciale, stretta: sempre gli stessi bar, le stesse facce… tant’è che volevo scappare, e sono scappato. Ora la apprezzo, ma devo stare a Roma per lavoro. Però ad Ancona torno volentieri quando posso: lì vivono i miei genitori. 

Ora insegni ancora o sei completamente immerso nell’editoria?

Ora non ho più tempo. In Grecia insegnavo per guadagnare per andare avanti: mia moglie in Grecia non lavorava… Ora non ho tempo da dedicare all’insegnamento, ma ho insegnato molto: dai 20 ai 40 anni. Con la casa editrice per cui lavoro, noi facciamo anche formazione, però. Ogni libro inoltre ha una sua filosofia dietro. Proponiamo un approccio specifico all’insegnamento e creiamo e pubblichiamo dei libri che siano affini a tale approccio. Quando andiamo all’estero facciamo formazione, e conosciamo così insegnanti con cui ci confrontiamo sulla metodologia della didattica della lingua italiana per stranieri che vivono all’estero. 

Come mai hai scelto di dedicarti all’insegnamento dell’italiano agli stranieri?

Mia madre lavorava come segretaria in una scuola di lingue e mi ha proposto di tenere corsi estivi per gli stranieri che venivano a imparare la lingua ad Ancona. Ho subito sentito che era un lavoro coinvolgente e stimolante, così ho continuato. Ho anche insegnato per tre anni a scuola, ma non apprezzavo l’ambiente. Vivere e lavorare in Siria è stata invece un’esperienza straordinaria, unica: insegnare lì era bellissimo, insegnavo a persone della mia età. Io avevo 32 anni, i miei studenti 25/27. In questi contesti, in queste condizioni, nascono amicizie: dopo tanti anni, sono ancora in contatto con molti miei ex studenti.

Italia, Siria, Grecia… quante lingue parli?

L’inglese lo conosco bene, mentre con l’arabo ero solo in grado di sopravvivere: avendo sposato una siriana, un po’ di arabo circolava comunque anche in casa. Il greco invece lo ho imparato bene: conoscere il greco antico mi ha avvantaggiato ed aiutato. Anche ascoltare la radio mi ha aiutato molto: ho imparato molto da autodidatta. Quando vivevamo in Grecia la situazione linguistica era piuttosto complessa: la figlia maggiore ha frequentato le scuole in Grecia fino ai suoi 6 o 7 anni (ora ne ha 18); a scuola e con gli amici parlava greco, arabo con la mamma (ora non più) e italiano con me. Io e mia moglie inizialmente parlavamo inglese, perché lei non conosceva l’italiano, poi abbiamo cominciato con l’italiano. Ora invece la mia vita è tutta in italiano, dato che vivo da una decina di anni a Roma. C’è dunque stato un impoverimento linguistico.

Hai pubblicato con Affinità Elettive, casa editrice tua concittadina che ci ha in qualche modo presentati proponendoci il tuo Il mantello di Spinoza. Com’è stato pubblicare nella tua città?

La collaborazione con Affinità Elettive è nata quando vivevo già a Roma. I suoi libri sono molto curati, anche esteticamente. Io avevo mandato il manoscritto di Il mantello di Spinoza a vari editori, che però mi ignorarono. Lo mandai così ad Affinità Elettive, che mi rispose dopo pochissimo tempo dicendomi di averlo apprezzato e che lo avrebbe poi pubblicato. La casa editrice ha anche una libreria ad Ancona, in corso Amendola. Qui, Valentina Conti, fondatrice e presidente della casa editrice, organizza presentazioni di libri. I testi di Affinità Elettive Edizioni sono presenti praticamente in tutte le librerie della città. La visibilità sugli scaffali è difficilissima da ottenere: fuori Ancona non c’è nulla. Chi non è di Ancona può ordinare i titoli comodamente dal sito della casa editrice oppure recandosi presso la propria libreria di fiducia, che provvederà ad ordinare il titolo desiderato. 

Parliamo di Il mantello di Spinoza. Confessiamo che la copertina ci ha attratte molto!

La copertina di Il mantello di Spinoza l’ha disegnata una mia cara amica illustratrice, Francesca Fiorentino. Lei crea libri meravigliosi per bambini, auto-pubblicandosi. Ha anche scritto un libro sui bimbi nati in modo “non naturale”, avendo lei stessa procreato con l’inseminazione artificiale. Ha scritto inoltre un silent book, che io ho trovato bellissimo e commovente, ma per gli editori è risultato troppo privo di azione. Un altro suo libro tratta del rapporto di una bambina alle prese con la morte della nonna. I disegni di questo testo sono molto belli. Tornando alla copertina di Il mantello di Spinoza, lei la ha realizzata in pochissime settimane. Mi piaceva l’idea di una figura di china con la sua ombra molto diversa. Sembra infatti che l’ombra non corrisponda alla figura che la genera. Questo è già un indizio, se ci pensate!

Da cosa nasce Sandro Valeri (il protagonista di Il mantello di Spinoza, n.d.a.)?

Sandro Valeri è una persona psicotica/ossessiva. L’incipit è nato da una mia considerazione reale, a seguito di un grave lutto che mi ha coinvolto in prima persona. Ho fatto in modo che questa considerazione fosse un’ossessione che guidi la vita del protagonista del mio romanzo. Mi sono molto affezionato alle sue idiosincrasie: alcune sono inventate, ma altre sono proprio le mie! Ne ho disseminate altre anche in altri personaggi. 

Sandro Valeri è la persona che sarei potuto diventare io stesso se la mia vita fosse andata diversamente. Sandro Valeri è dunque la mia ombra deformata, il demone che sarebbe potuto venir fuori se (non) avessi fatto determinate scelte o azioni, demone che è dentro di te e lotta per uscire. Scrivendone, lo hai sulla carta, davanti a te, lo vedi, lo leggi, lo modifichi e te ne liberi. Non mi preoccupo molto, dunque, del fatto che Sandro Valeri possa piacere o meno: il suo ruolo lo ha già svolto.

Ed il commissario?

Beh, lui è la coscienza! Infatti, non parla mai. L’idea della confessione (e dunque del commissario) deriva dal libro “La caduta” di Albert Camus. 

Come è avvenuto il tuo approccio alla scrittura?

Ho iniziato proprio con Il mantello di Spinoza a scrivere! Ho sempre amato scrivere. Da ragazzo scrivevo poesie, perché non sapevo scrivere più di due o tre pagine. Sono pigro, non scrivo molto: i racconti brevi sono per me già lunghi! Scrivere un romanzo è stata dunque una sorpresa. Il mantello di Spinoza è comunque un romanzo breve, perché amo la sintesi e temo sempre di annoiare i lettori. 

Quella passione mi accompagna ancora: anche ora che mi occupo di didattica scrivo racconti per stranieri. Nel romanzo, mi interessa molto la persona che sta ferma (il commissario in Il mantello di Spinoza, n.d.a.) e che ascolta, mentre tutti gli altri si muovono ed agiscono. Adoravo leggere monologhi ossessivi: ho voluto provare a scriverne uno. Ho apprezzato che il mio ritmo e la mia scrittura ossessiva siano piaciuti.

Quali sono i tuoi progetti futuri?

Dopo una vacanza a Senigallia (Ancona) ho avuto l’idea per una storia, pubblicata sempre con Affinità elettive con il nome di Piccole cose che fanno rumore. È la storia di due anziani che trascorrono le vacanze in una località balneare. Questo è un romanzo in cui i personaggi parlano ed agiscono: una cosa incredibile per me!

E Marco lettore cosa ama leggere?

Amo molto Thomas Bernhard, autore austriaco morto nel 1989. Ha uno stile paranoico, ossessivo. Uno dei suoi romanzi più famosi è “Il soccombente”. Apprezzo anche Fleur Jaeggy, moglie del fondatore della casa editrice Adelphi, in particolare “I beati anni del castigo” ed altri suoi romanzi e racconti. Mi piace molto anche lo stile di Amélie Nothomb. Penso che un libro debba colpire il lettore, metterlo in subbuglio ed in discussione. È ciò che avrei voluto fare con il mio romanzo. Sandro Valeri fa più pietà che rabbia, mentre io avrei voluto che facesse più rabbia che pietà.

Ringraziamo Marco Dominici per questo incontro, con la promessa di leggere presto il suo nuovo romanzo!

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